OGGI: Lavoro Natura Valore!

I motivi per tornare a scrivere sono molti, non solo per farsi gli auguri di buone festività. Ad ogni modo la causa prima, o il merito, delle riflessioni di oggi sono da imputare a Fich; se leggerà queste righe, lui capirà.

Leggendo certi tipi di saggi si capisce quale sia una delle funzioni dei sociologi e degli antropologi: attualizzare i pensieri dei filosofi attraverso una catena storica delle loro riletture. Intendiamoci, nulla vieta a chiunque di rileggersi Marx, tuttavia se lo fanno persone che ne hanno studiato un po’ di più, risulta più semplice…

“André Gorz tra marxismo e decrescita”, questo il sottotitolo del saggio in questione, il cui titolo è dopo i due punti di OGGI. Lo ha scritto, per l’appunto, un giovane sociologo italiano (che però fa il ricercatore all’estero, tanto per cambiare…) che si chiama Emanuele Leonardi.
Ci ha pensato lui per noi a rileggersi Marx, ad incrociarlo con il pensiero di André Gorz, e a restituirci una chiave di lettura attualizzata dei concetti interconnessi di Lavoro Natura e Valore.

André Gorz, austriaco di nascita e francese d’adozione, ingegnere chimico che, invece della propria disciplina, ha esercitato quella del giornalismo prima e del filosofo successivamente, è considerato il padre dell’Ecologia Politica.
Il libro non è un mattone, 200 paginette edite da Orthotes nel novembre del 2017, ma richiede un certo impegno nella lettura, e nella eventuale rilettura, necessaria questa per meglio metabolizzare alcuni concetti.

Forse in modo approssimativo e indegnamente, qui su Ciscappailgarda si fa proprio l’arduo compito di condividere queste riflessioni; a voi che leggete decidere se accontentarsi della metabolizzazione della lettura da parte di uno che, come Gorz, non ha mai praticato veramente la disciplina per cui ha speso gli anni dello studio, oppure cercare il libro e leggerselo.

Per Leonardi, attualizzare il rapporto tra i concetti di Lavoro Natura e Valore, significa ripercorrere quanto successo nel secolo trascorso tra il pensiero di Marx e quello di Gorz e di individuare un collegamento con la odierna necessità di ritrovare, attraverso la proposta della decrescita, una possibile via d’uscita dalla rovinosa evoluzione che il capitalismo ha attraversato in questi ultimi centocinquant’anni.

Ma andiamo con ordine.

Possiamo ricondurre il nesso classico tra i concetti di Lavoro Natura e Valore ai seguenti assunti propri del nostro amico Karl, sui quali lo stesso basa la propria critica al pensiero economico capitalista:

  • i creatori originari della ricchezza sono la forza-lavoro e la terra;
  • la ricchezza è intesa attraverso il valore d’uso dei beni, che soddisfano i bisogni umani storicamente definiti (quelli che chiameremmo oggi bisogni primari);
  • il valore, come categoria capitalistica, è inteso come valore di scambio oggettivato in merci, il cui scopo primo non è già quello di soddisfare dei bisogni, ma quello di essere vendute sul mercato;
  • il lavoro è in grado di introdurre nei beni un plusvalore, che costituisce la base dell’accumulazione capitalistica: questa accumulazione è garantita dalla separazione tra i lavoratori e la proprietà dei mezzi di produzione, cioè basata sul lavoro salariato.

Questi assunti, pensati dallo stesso Marx in un contesto nel quale la natura era considerata un bene sempre disponibile ed infinito, hanno portato a basare la propria critica politica al capitalismo limitandola ai suoi risvolti sociali, piuttosto che a quelli sulla natura (pur riconoscendo che il capitalismo rappresentava un modo di depredazione del lavoratore e della terra…). Di qui la chiamata al popolo operaio verso la consapevolezza sul plusvalore e sulla necessità di possedere i mezzi di produzione.

Ci sono voluti almeno cento anni per arrivare a dare una connotazione politica alla critica, presente già in nuce, al modo di produzione capitalista quale causa prima della crisi ecologica.
Del resto, un modello basato sulla regola aurea per la quale bisogna minimizzare il costo degli input e massimizzare il valore degli output…
In questi cento anni il nesso tra Lavoro Natura e Valore si è modificato a tal punto che lavoro e capitale sono divenuti essenzialmente complici nel loro stesso antagonismo, per il fatto che “guadagnare denaro” è per entrambe il fine determinante. Per il capitale la natura della produzione è un fatto di poco rilievo rispetto alla sua redditività, così come per il lavoro, quella stessa produzione, è tanto più virtuosa quanti più posti di lavoro genera e salari distribuisce. Movimento operaio e sindacalismo, in nome dell’anticapitalismo, sono stati complici del nuovo nesso tra Lavoro Natura e Valore, nel quale oggi, per il capitale, diventa la Natura la vera generatrice di plusvalore: il lavoro dell’uomo non serve quasi più…!

Per questo oggi essere anticapitalisti significa non solo mettere in questione le condizioni di lavoro e i livelli di salario, ma porre in discussione le finalità della produzione, laddove queste vadano ad accumulare il capitale a discapito della ricchezza della natura e della sua stessa possibilità di riprodursi.
Non solo, e qui ci viene in aiuto Gorz, significa tornare ad essere liberi nella definizione dei propri bisogni, che è stato il prezzo storicamente pagato dalla classe operaia per entrare di diritto nella società industriale moderna.

Sulla crisi ecologica del capitalismo si innesta il pensiero di Gorz, non già per divinare la natura, ma per introdurre il concetto di equilibrio tra prelievo e capacità di rigenerazione delle risorse estratte dalla natura.
Gorz, in sostanza, traduce attraverso l’Ecologia Politica il pensiero già presente nel primo Marx, andando a complementare i limiti interni dell’attività produttiva, che il filosofo tedesco aveva tradotto in pensiero politico, con i suoi limiti esterni, quelli imposti dal mondo naturale e che non devono essere oltrepassati. Gorz fu il primo marxista in grado di teorizzare, accanto alla crisi della sovraproduzione, la crisi della riproduzione, intesa come incapacità del sistema capitalista di riprodurre le condizioni necessarie per la nuova produzione.

Del resto, l’epoca di Gorz ha come periodo mediano quei primi anni ‘70, che costituirono la prima grande crisi di riproduzione del sistema capitalistico, vessato da costi crescenti necessari per rigenerare l’ambiente, fino ad allora utilizzato come fonte infinita e discarica gratuita.
Gorz individua nel terremoto sociale del ’68 la causa principale dell’esaurimento dei fattori di crescita, in grado di infrangere la rappresentazione politica della modernità e precorrendo i tempi rispetto all’outing ufficiale degli ecologisti, datato 1972 (Limits to Growth – Club di Roma).

Nel ripercorrere quel fatidico quinquennio 1968-’73, Emanuele Leonardi non manca di citare ulteriori passaggi storici che hanno inciso sulla riformulazione del nesso tra Lavoro Natura e Valore: il movimento femminista, con la rivendicazione del salario per il lavoro domestico, e i movimenti operai per il diritto alla salute nei luoghi di lavoro (lotta alle nocività per via contrattuale). Tuttavia, il periodo della stagione dei movimenti non fu in grado di sostituire alla logica del valore quello della ricchezza e il capitale seppe ripartire di slancio attraverso la proposta neoliberista, basata sul progressivo smantellamento del welfare state, sulla disintegrazione del lavoro e sulla finanziarizzazione dell’economia. Quello che segue, secondo Gorz, è il periodo della crisi salariale dalla quale si esce a marcia indietro: ci sarebbero le condizioni per lavorare meno e andare verso una civiltà del tempo liberato, ma la società dei consumi ci rende incapaci di vedere e volere questa opportunità, definita da Gorz come quella in cui si impara a vivere senza dover vendere la propria forza lavoro.

Il nuovo nesso Lavoro Natura Valore, inizia a nutrirsi, con gli anni ’80 e 90’ del secolo scorso, di due ulteriori svolte che il capitale ha saputo mettere in campo: portare a valore la potenza umana del sapere e la natura come informazione (capitalismo cognitivo). Nel primo caso è il sapere dell’individuo sociale, in grado di generare macchine per la sola finalità di rendere immediata qualsiasi produzione: è il prevaricare della conoscenza sul valore d’uso. Nel secondo caso, emblematico è il trasferire sull’informazione che accompagna un prodotto il plusvalore dello stesso. Di qui il valore attribuito dai mercati finanziari alle componenti naturali non in quanto tali, ma per la loro capacità di assorbire anidride carbonica; piuttosto che il valore assunto da una particolare sequenza genetica che rende un seme resistente ad un dato pesticida.

Ne risulta che lo sfruttamento della natura sia un fenomeno molto recente, che prende avvio con la nascita della Green Economy, alla fine degli anni ’80, che altro non sarebbe se non l’ennesimo colpo di coda del capitalismo. Ecco quindi che le sfide ecologiche si trasformano in fonti di competitività, la natura da limite allo sviluppo diventa driver di crescita e si porta a compimento la “mercatizzazione dell’ambiente”.

Così come Marx improntava la sua critica al capitalismo demistificando il tentativo borghese di naturalizzarlo, oggi la critica ecologica del valore dovrebbe essere improntata a smontare il tentativo finanziario di capitalizzare la natura.

Un intero capitolo del testo è dedicato dal Leonardi alla critica ai mercati del carbonio, scelti quale emblema di un conclamato fallimento verso la tutela della natura. Si scopre così come tale fallimento trovi giustificazione nelle originarie critiche del nostro caro vecchio Marx al sistema capitalista: l’interesse del capitale è totalmente svincolato dal valore d’uso del bene, cosicché il dare un valore di scambio alla tonnellata di anidride carbonica non fornisce alcuna garanzia del fatto che si persegua l’obiettivo di ridurne la produzione.

Di qui la necessità di riaffermare il nesso originario tra Lavoro Natura e Valore, nel quale il valore ritorni ad essere valore d’uso e non sia più erroneamente inteso come ricchezza. La ricchezza deve tornare a risiedere nella Natura, che deve fungere da mediatrice, in quanto intrinsecamente limitata, tra il Lavoro e il valore dei beni che esso produce. In altre parole, affinché il lavoro torni a fare la sua parte nella lotta al riscaldamento globale, occorre che si svincoli dalla logica del valore e torni a legarsi alla logica della ricchezza, intesa come capacità di generare valori d’suo che non intacchino la vera ed unica ricchezza di cui disponiamo: la natura.

Insomma, Leonardi, mettendo in luce le basi comuni tra il pensiero di Marx e l’Ecologia Politica di Gorz, ci ha preparato il terreno per cogliere come il pensiero della Decrescita possa costituire una strategia di uscita dal modello capitalista.
Proprio della decrescita è infatti la necessità di diffondere il lavoro neghentropico, contrapposto al lavoro entropico tipico del capitalismo, cioè quel lavoro che non dissipa risorse naturali, altrimenti riconducibile al lavoro di cura (delle persone, delle cose, dell’ambiente). Il fulcro dell’economia dovrebbe quindi spostarsi dal salario-istituzione alla dimensione della cura collettiva delle relazioni e dell’ambiente.

In un momento storico nel quale è drammaticamente necessario ridurre la quota di lavoro entropico a favore di quello neghentropico, la vera sfida è riuscire a calare politicamente questa istanza dentro alla composizione di classe, in modo da renderla desiderabile.
Per capirci meglio, le proposte della decrescita in genere incorporano dei limiti collettivi che vanno intesi come auto-limitazioni dal perseguire la totalità di ciò che è potenzialmente perseguibile. Siamo politicamente e socialmente pronti per auto-limitarci?

Per rendere più socialmente allettante la prospettiva dell’autolimitazione occorre introdurre strumenti di quantificazione della ricchezza dei beni riproduttivi, cioè dei beni derivanti dal lavoro neghentropico; tuttavia siamo talmente intrisi dal Prodotto Interno Lordo, lo strumento inventato dal capitalismo nel 1934 negli Stati Uniti e riconosciuto internazionalmente a valle della conferenza di Brenton Woods nel 1944 quale unico indicatore per valutare le performance di una nazione, che il compito non è certamente semplice…

L’assunto del PIL e la necessità della sua crescita sono traducibili nella illusione che consentano di perseguire l’uguaglianza retributiva. Questo rende tollerabili i differenziali di reddito e alimenta la speranza che ciascuno possa un giorno incrementare il proprio. La Decrescita è quindi da intendersi non già come una recessione, ma come uno strumento di uguaglianza retributiva; non già come la impossibilità di accumulare valore, ma come la possibilità di vivere in ricchezza.

Abbiamo assistito nei decenni ad una costante capacità del capitalismo di introdurre nuovi processi di mercificazione, ciascuno con risvolti ininfluenti, se non addirittura negativi sul miglioramento delle condizioni dell’ambiente, tanto che alcuni sarcastici economisti sono convinti che questo modello economico abbia “i secoli contati”. Ormai è assodato che il salario-istituzione proprio del capitalismo sia mobilitato dalla spesa pubblica in deficit (di qui la necessità, per esempio, delle grandi quanto inutili opere infrastrutturali…) e questo rappresenta una ulteriore conferma che il modello non regge.

Insomma: è indiscutibilmente necessario che il valore decresca, ma lo stesso non deve accadere per la ricchezza! Dobbiamo arrivare a sostenere e riconoscere che sia più ricco il possessore di un orto, in grado di autoprodursi il cibo, piuttosto che il milionario intento a sorseggiare un aperitivo sul proprio yacht; che sia più ricco chi ha persone che si prendono cura di lui in modo disinteressato piuttosto che chi paga migliaia di dollari per stare in una moderna clinica a curarsi da un tumore; che sia più ricco colui che ha tempo per dedicarsi alla famiglia, per leggere un libro o scrivere poesie, piuttosto che colui che è disposto a spendere cifre importanti per condensare in poche ore la cura del proprio corpo e della propria mente.

Nelle parti conclusive del libro non mancano da parte dell’autore dei richiami ad esperienze significative nell’ambito di modelli economici alternativi, noti nell’ambiente dei GAS e dell’Economia Solidale: si citano la fabbrica Ri-Maflow, Fuorimercato, SOS Rosarno, Genuino Clandestino… insomma, con un pizzico di orgoglio possiamo anche noi del mondo dei GAS dire che stiamo facendo la nostra parte?

Ma siamo consapevoli di stare compiendo qualche cosa che ha l’ambizione di sostituirsi al modello capitalistico, o ci limitiamo a fare un piccolo pezzo che corre il rischio di essere assimilato dallo stesso se non addirittura funzionale alla sua camaleontica capacità di perpetrarsi?
Mi sento di dire che se non si comprende a fondo la differenza sostanziale, che il capitalismo ha sino ad oggi mascherato e confuso, tra valore e ricchezza, non si sarà in grado di fare quel passo in più verso la decrescita del primo in favore del mantenimento della seconda.

In memoria di tempi più prolifici su questo blog, chiuderei con un quiz per i volenterosi che hanno fin qui resistito nella lettura. Si tratta di individuare lo scrittore del seguente pensiero:

La domanda giusta allora è: come ridare un senso al lavoro? Come fare in modo che il lavoro sia una esperienza di vita e una relazione sociale sensata, capace di apportare benefici veri per sé e per gli altri? Discutere di lavoro significa quindi prima di tutto discutere di quale deve essere il suo scopo, la sua finalità. Ed equivale a discutere quale tipo di economia, di tecnologie, di società desideriamo. Difficile, infatti, pensare che possa esistere un buon lavoro in una cattiva economia e una buona economia in una società classista, dispotica, violenta.

Scrivete pure la risposta nei commenti….

BUONE FESTE A TUTTI!

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