Oggi: facciamo qualcosa di solidale!

A seguito dell’incontro del 27-28 febbraio a Bergamo, il Tavolo RES ha elaborato e condiviso l’appello “Facciamo qualcosa di solidale!” per promuovere una revisione profonda del modo di operare delle realtà di Economia Solidale.

Dalla constatazione che molta strada è stata fatta, ma che ancora molta resta da percorrere, il Tavolo RES propone un cambio di visione che porti a condividere un orizzonte e a creare istituzioni di altra economia.

Il documento intende descrivere la direzione di questa trasformazione, come strumento per un percorso di riflessione all’interno delle reti di economia solidale insieme a chi condivide questo stesso orizzonte.

Nel seguito riportiamo importanti stralci del documento, che potete consultare per intero QUI. – Buona lettura!

Tanta strada dietro di noi, ma ancora molta davanti

A più di 20 anni dalla nascita del primo Gas (1994), e dopo oltre 10 anni dal lancio della proposta di una Rete italiana di Economia Solidale (2002), se da una parte possiamo rallegrarci constatando come alcune nostre idee e comportamenti che sembravano folklore ingenuo siano diventati dominanti ed abbiano effettivamente migliorato la vita di molte persone, dall’altra non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’avanzata della crisi di questo modello di sviluppo e allo sgretolamento delle reti sociali ed ecologiche. Da qui la necessità di una revisione profonda del nostro modo di operare.

Mentre l’ideologia neoliberista ha creato proprie grandi Istituzioni che sostengono l’egemonia teorica e pratica della mercatizzazione del mondo (Università, sistema finanziario, governi, Banca Mondiale, ecc.), il mondo delle alternative è costituito da un arcipelago di soggetti che fanno fatica a connettersi, a condividere un progetto di cambiamento, a fare sistema.

Partendo da questa constatazione, ci si è resi conto che occorre fare un doppio movimento: condividere un orizzonte; creare Istituzioni di altra economia.

Importanti spunti per intravedere l’orizzonte da condividere ci vengono da più contributi del Prof. Roberto Mancini, in conclusione di INES 2015 a trieste:

“Ciò che chiamiamo altra economia, nella ricchezza delle sue teorizzazioni e sperimentazioni, è […] la determinazione fedele di una visione radicale e globale della democrazia, secondo una costellazione di significati ancora poco meditati ma piena di promesse. Alludo a una pluralità di valori, criteri e regole capaci di ispirare i necessari processi di liberazione per tutti quelli che oggi, nella società della globalizzazione del capitale e della disperazione, non hanno un posto dove andare né qualcuno disposto a prendere sul serio la loro dignità.[1]”.

e in occasione della assemblea di RES Marche, di pochi giorni successiva:

“Possiamo agire in un altro modo che non sia alimentare questo sistema: se si ritiene indegno arrendersi, se si conta sulla dignità e stima di sé, possiamo scoprire nuovi frutti: primo la solidarietà, cioè un mondo comune con gli altri; secondo la generatività, cioè la possibilità di far crescere una realtà più autentica; terzo la coralità da cui nessun essere vivente è escluso. Questa è la profezia che è dentro l’altraeconomia: la fede nella realtà come comunione.[2]

Creare istituzioni di altra economia.

Il variegato arcipelago di iniziative per le quali i GAS prima e i DES successivamente si sono spesi nell’ultimo ventennio, potrà dar vita ad un sistema socioeconomico diverso solo se saprà creare comunità distrettuali capaci di organizzare la loro sussistenza, dove cioè le attività economiche avranno una funzione di servizio e supporto, strumentali al fine di rafforzare le relazioni fiduciarie e solidaristiche fra cittadini. Si tratta di ribaltare l’attuale logica che vede i cittadini-consumatori ed i loro aggregati sociali ed Istituzionali (lo Stato nelle sue diverse articolazioni territoriali e strumentali) al servizio dell’economia del mercato capitalistico.

Un cambio di visione

La fase in cui ognuno ha portato avanti il suo obiettivo, il suo progetto, la sua pratica, è obsoleta e oltretutto dannosa: dobbiamo evolvere, trasformarci nell’essere e nel lavorare insieme, attraverso una ridefinizione dell’economia solidale. Il concetto di “vita condivisa” deve ridare credibilità e spessore alla parola chiave fondamentale: solidarietà.

Parte dei bisogni che prima venivano soddisfatti nella rete (Gas, RES locali, etc.) ora sono stati spostati in altri luoghi, fuori dalla rete. Ma mentre i consumatori possono facilmente cambiare il loro fornitore, chi lavora nell’economia solidale non può stare in piedi senza clienti. Dobbiamo prendere atto che le nostre pratiche hanno contaminato il contesto sociale, ma si sono evolute anche, e spesso, nella stessa direzione della logica di mercato che vorremmo fosse dismessa.

In cosa consiste allora l’alternativa al mercato? Come si configura al di fuori delle banali e contraddittorie proposte “contro”? Per cosa e come costruiamo un’alternativa, che abbia anche spessore storico, scientifico, culturale e capacità comunicative?

C’è bisogno di cambiare, agire “non più secondo il paradigma della produzione e del consumo in vista dell’accumulazione, bensì secondo il paradigma della cura del bene comune[3]”.

Per fare ciò è indispensabile pensarci insieme, lavorare insieme, stare insieme, contribuire a creare buen vivir: una vita diversa e una società sostenibile, con un’economia che sostiene la società e tutela gli equilibri naturali.

Siamo arrivati alla rete come scelta metodologica, dettata dalla sfiducia nelle tradizionali strutture gerarchiche, e alle buone prassi di consumo quale strada per uscire dal senso di impotenza. Tuttavia l’alternativa costruita sulle pratiche non ha avuto da noi lo stesso effetto empatico che ha avuto in altri paesi del sud del mondo. Le sole pratiche ora rischiano di alimentare la contrapposizione tra individualismo e settarismo o di far cadere nello “scandalo della delusione”[4].

“Volevamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato noi”

(dal film “C’eravamo tanto amati” di E. Scola)

Abbiamo perso di vista i movimenti sociali: dobbiamo ricercarne i germi.

Si avverte la mancanza di aggregazione come un vuoto e si pensa che possa essere colmato con la sola organizzazione, e allora si fanno altre associazioni o si guarda ad altri che meglio saprebbero organizzarsi.

Raccogliamo i germi e avviciniamo tutte le realtà che ne sono portatrici, impariamo a cooperare.

Agiamo su noi stessi, interrogando il nostro vissuto personale e la nostra storia e chiedendoci quanta complicità ognuno/a di noi ha ancora con il sistema; indaghiamo quanto i nostri stessi paradigmi culturali, sebbene propensi verso l’alternativa, di fatto ci fanno agire con le stesse modalità individualistiche e di personale interesse, che sono alla base del sistema neoliberale; chiediamoci come costruiamo le nostre relazioni solidali e quanta capacità abbiamo di mettere al servizio degli altri il nostro personale in termini di competenze, conoscenze, tempo e risorse.

Analizziamo come esercitiamo il nostro potere e quanto ciò che facciamo genera libertà per altri/e.

Ci aspetta un percorso per caratterizzare bene e riempire di vita parole su cui abbiamo fondato il nostro operare come “solidarietà, fiducia, relazione, comunità aperte, pensarsi assieme“, ricordandoci che in una realtà comunitaria non tutti fanno le stesse cose, non c’è lo stesso livello di coinvolgimento, su tante cose non la si pensa allo stesso modo; però si è solidali, ci si confronta e ci si aiuta, si è rispettosi e collaborativi; insomma si fa sistema invece di produrre corpi estranei e anticorpi.

Ma lavoriamo anche per aggiungere nuove parole e per costruire nuovi percorsi, inesplorati – confrontandoci con quei germi trasformativi che sono accanto a noi, divergenti e divertenti – che giochino con equilibri diversi e sappiano affrontare le contraddizioni e i conflitti, con la serietà (e le regole) di un “gioco di bambine/i”.

Tavolo RES, 27 febbraio 2016

 

[1])  Qui l’intervento completo ad INES 2015

[2]) Qui per l’intervento completo a REES Marche

[3]) Da Mancini R., “Ripensare la sostenibilità”, FrancoAngeli 2015.

[4]) Da Mancini R., “Trasformare l’economia”, FrancoAngeli 2014.

 

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